Le recenti acquisizioni in materia si pongono come linee guida alla programmazione alimentare dell'atleta agonista e non a cui occorre fondamentalmente chiarezza sui validi principi alimentari
Introduzione
Negli ultimi anni i ricercatori hanno fatto dei passi da gigante nella programmazione dietetica dell'atleta. La scienza dell'alimentazione si è arricchita di numerosi postulati che sorprendentemente sfatano alcuni pregiudizi su cui erano state gettate le basi delle remote conoscenze alimentari. Le recenti acquisizioni in materia si pongono come linee guida alla programmazione alimentare dell'atleta agonista e non a cui occorre fondamentalmente chiarezza sui validi principi alimentari per concretizzare al meglio unitamente all’allenamento e alla supplementazione, le proprie performanrces.
Una delle basi della prevenzione è quella di evitare di mettere l'organismo in una situazione di conflitto rispetto agli eccessi energetici. Infatti paradossaalmente l'organismo umano ha più strumenti per lottare contro le carenze che per difendersi da un'esuberanza di apporti energetici. Nelle diverse tipologie di condizioni organiche, psico-sociali alimentari e prestative, i fattori di squilibrio sono molteplici e di diversa incidenza. In questa breve ma significativa trattazione analizzeremo uno dei più importanti fattori di squilibrio organico: I RADICALI LIBERI. Considereremo il ruolo preventivo a lungo termine svolto dalla corretta alimentazione onde diminuire l'incidenza di diverse patologie. Con opportune combinazioni l'uomo può trarre benefici dai micronutrienti protettori o meglio dalle sinergie degli elementi di protezione in essi contenuti.
La prevenzione alimentare: glucidi rapidi e lenti
Si sà che il principale substrato energetico è il glucosio. A tal proposito è da tenere in grossa considerazione, specie per gli atleti che al fine di ovviare ad un insufficienza di apporto nutritivo in glucidi, il fegato è in grado di metabolizzare anche gli aminoacidi in glucosio.
L'unico limite in questa "convertitasi" è costituito dal fatto che l'organismo umano non può metabolizzare gli acidi grassi dei lipidi in glucosio in ragione della fase irreversibile piruvato/acetil CoA. Gli acidi grassi costituiscono in ogni caso il substrato preferenziale di muscoli e cuore. Generalmente annoveriamo come glucidi gli alimenti ricchi di amido che suddividiamo complessi e semplici. I glucidi solubili raffinati vengono definiti "rapidi" in contrapposizione agli amidi definiti glucidi "lenti". I trattamenti tecnologici, le moderne tecniche di raffinazione ed impoverimento di scorie, dei prodotti ricchi di amido, tra cui annoveriamo il pane bianco industriale da forno, possono indurre una digestione rapida tipo quella del saccarosio, tanto che nella modernissima nutrizione, da qualche anno a questa parte, il termine glucidi lenti è riservata ai soli alimenti a lenta degradazione (legumi e pasta).
Questa è una scoperta importantissima che dà alcune risposte ai numerosi aneddoti posti dagli atleti alla ricerca del "cut" e della massima forma qualitativa: …il pane mi gonfia! … con il pane mi appanno! … il pane mi fa prendere peso! Analizzando la scissione glucidica, i ricercatori francesi hanno potuto dimostrare quanto detto in precedenza. I catalizzatori cellulari, ovvero gli enzimi (nel nostro caso quelli prodotti dal pancreas), attaccano gli amidi limitandone la velocità di digestione. Tuttavia, alcuni amidi sono più resistenti di altri e l'aggressione enzimatica e il loro utilizzo rallenta la velocità di assorbimento del glucosio.
Se per motivazioni di natura tecnologico-industriale, l'amido viene privato della struttura fibrosa presente nel seme, se è denaturato tramite riscaldamento, può diventare molto accessibile agli enzimi ed entrare a far parte della classe dei glucidi definiti rapidi. Indagini comparate, hanno evidenziato inoltre una perdita del 50% di vit. B e di minerali, nelle farine di frumento di uso corrente. I glucidi rapidi alterano la glicemia, ma se l'atleta li consuma durante un pasto completo, il turn-over glicemico viene ridotto in misura inferiore rispetto all'ingestione solitaria. Altra rivelazione importante riguarda il substrato necessario che i glucidi complessi, più adatti alla nostra fisiologia, forniscono alla flora dell'intestino crasso. Infatti, numerosi fonti amidacee digerite parzialmente da tenue occorrono alla flora colica come substrato glucidico.
Utilizzazione del glucosio
La scelta del carburante energetico varia a secondo del tessuto. Mentre il cervello ossida la totalità del glucosio e dei corpi chetonici durante il digiuno, la glicosi anaerobica consente alle cellule ematiche di procurarsi energia. Il glucosio ed i composti glucoformatori costituiscono i substrati preferenziali utilizzati dalle fibre muscolari negli sforzi a lunga durata. L'assunzione di alcool a digiuno è dannosissima per gli atleti (ad esempio in gara prima del posing senza aver mangiato) in quanto la gliconeogenesi può essere inibita provocando una pericolosa ipoglicemia.
Alimentazione, regolazioni neuroendocrine, digiuno e dimagrimento.
I complessi meccanismi neurochimici il cui perno è l'ipotalamo, si incaricano all'interno del soggetto di mantenere il peso stabile. Alcuni ricercatori che hanno approfondito tutta la genesi del comportamento alimentare hanno postulato che l'oggetto di regolazione non è il peso in sé, bensì il quantitativo di grasso corporeo. L'input per il body-builder riguarda la riduzione drastica dei quantitativi di grassi assimilabili con la dieta. Inoltre gli stessi studiosi hanno constatato che quando in un soggetto varia il quantitativo di grasso, il tempo necessario ad un'attivazione o a una induzione dell'appetito cambia da un individuo all'altro, in particolare nell'adulto. Alcuni correggono l'apporto eccedente in un periodo di 24 ore, mentre altri impiegano dai 3 ai 7 giorni prima che una variazione di massa grassa influenzi il loro appetito. Questi ultimi non avranno un peso stabile, ma piuttosto fluttuante intorno ad un valore medio. Quindi le regolazioni delle assunzioni alimentari non dipendono da puri meccanismi biologici, ma sono in gran parte di natura condizionate. Sul piano biologico il metabolismo normale basato in gran parte sul metabolismo degli zuccheri si ferma dopo 2 o 3 giorni per mancanza di carburante e sono i grassi di riserva a fornire l'apporto energetico. Sono queste modificazioni del metabolismo a far sì che 1a fame intensa e dolorosa durante i primi giorni di digiuno, in seguito si attenui fino a quasi scomparire.
Il dimagrimento volontario consiste nel provocare lo scioglimento del tessuto adiposo, mobilitando il meno possibile le proteine dell'organismo. A tal fine è d'obbligo la riduzione drastica dell'energia ingerita sotto forma di lipidi, mantenendo sotto controllo l'ingestione glucidica per il cervello e quella proteica per i muscoli. Durante la fase di digiuno la riserva ideale (substrato preferenziale) rimane quella adiposa che apporta energia sotto forma di acidi grassi mentre le proteine veicolano gli aminoacidi necessari per la sintesi epatica del glucosio.
Quando l'utilizzo del glucosio non è completo, la tappa limitante, ovvero la produzione di lattato, consente di risparmiare le proteine dell'organismo. In digiuni superiori alle 24 ore la degradazione proteica, inizialmente elevata (maggiore di 80 gr/die), diminuisce fortemente fino ad essere inferiore a 25 gr/die. Anche il cervello contribuisce al risparmio energetico utilizzando come parziale substrato i corpi chetonici.
Il soggetto in buona salute ha un fabbisogno relativamente modesto di proteine, ad eccezione di periodi di crescita anche muscolare o in certi stati fisiologici particolari (rialimentazione). Per mantenere un peso stabile l'organismo umano dovrebbe ingerire una quantità di aminoacidi equivalente a quella che è stata catabolizzata ed eliminata. In presenza di un'alimentazione troppo povera di glucidi, l'ingestione di una quantità eccessiva di proteine migliora il bilancio proteico in quanto gli aminoacidi in eccesso vengono ossidati per produrre g1ucosio nel fegato. Esiste inoltre una complementarietà essenziale tra i glucidi e le proteine: i glucidi hanno un effetto iperglicemizzante minore in quanto sono accompagnati da un tasso di proteine, inoltre favoriscono la proteosintesi stimolando la secrezione di insulina e diminuendo la conversione degli aminoacidi in glucosio quindi è bene complementare un piatto ricco di glucidi con un apporto proteico animale adeguato, saggiamente integrato da 1/2 di protidi di origine vegetale.
Generalmente quando si parla di introito proteico completo il pensiero scientifico richiama sicuramente gli scopi principali: la funzione della sintesi proteica, l'apporto equilibrato di aminoacidi ecc. .
Spesso, anche per superficialità, dimentichiamo quello che la ricerca ci evidenzia: il pool aminoacidico a garanzia di sintesi specifica come quella dei neuromediatori che si realizza a partire dalla tirosina, il triptofano e l'acido glutammico; quella degli acidi nucleici che servono per la duplicazione del DNA; la sintesi delle poliammine, stimolanti della suddivisione cellulare, quella dei cofattori enzimatici che svolgono un ruolo chiave nella lotta contro i radicali liberi; della metionina che gioca un ruolo essenziale nella detossificazione e protezione cellulare e ancora la sintesi dei fosfolipidi che compongono le membrane cellulari.
I ricercatori restano comunque dell'avviso che un'alimentazione iperproteica non è auspicabile, ma un ampio apporto di proteine potrebbe assicurare un miglior rinnovamento dell'organismo. Un grosso problema posto dal catabolismo interno provocato da diete iperproteiche è quello legato all'eliminazione dei rifiuti azotati sotto forma di urea e acido urico, in relazione alla capacità di filtraggio degli organi emuntori. Per quanto riguarda i lipidi, in animale, sembra auspicabile una limitazione dei corpi grassi per le molteplici conseguenze metaboliche inerenti a tutta una serie di fattori di rischio legati all'insorgenza di patologie cardiovascolari.